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Mi definisco un viaggiatore ignorante. All’improvviso mi muovo e, spinto dall’istinto, mi dirigo verso mete apparentemente banali ma che risultano essere poi spesso sorprendenti. Faccio un lavoro, HR Manager e formatore, che mi porta ogni giorno, da quasi trent’anni, a parlare con persone diverse, ad entrare nella vita degli altri, con un grande dispendio di energie.

Per un periodo ho pagato un prezzo alto a questo transfert, poi ho imparato a gestirlo e a staccare. Come? Ritagliandomi spazi che chiamo sportivi, atletici ma anche meditativi. La natura, i funghi, i silenzi interminabili dove sono solo con me stesso e con i rumori del bosco.

Era il 12 luglio 2017 quando questo articolo uscì nel mio piccolo gruppo Facebook In Viaggio senza aereo, un piccolo gruppo di slow tourism (ancora esistente: per richiedere l’iscrizione cliccate qui). Avevo da poco intrapreso la mia riabilitazione post malattia (Leggi qui). Mi ero trasferito sugli Appennini ed ero curioso di scoprire il territorio circostante.  L’ho ripreso e l’ho riadattato, inserendolo come primo articolo nella nuova categoria di post che si chiamerà Storie di un viaggiatore ignorante. Descrive molto bene il senso del viaggio e la mia filosofia verso la scoperta del nuovo e del bello a due passi da casa.

“Il vero viaggiatore è ignorante. Il turista è informato, molto informato. Lo scopo, il fine sono diversi e opposti. Il viaggiatore si lascia trasportare dalla voglia di conoscere, capire e si esalta nell’imprevisto, il turista si arrabbia nell’imprevisto.
Questo è il racconto che meglio rappresenta il mio spirito nel viaggio: la casualità.

Si parte

Ore 05.30 – Un caldo sabato di giugno – Prendo l’auto e parto. Verso dove? Non lo so, ho solo voglia di prendere confidenza con il territorio che per un po’ mi ospiterà. Da tanti anni, nei miei blitz “viaggianti”, mi lascio guidare solo da istinto e casualità. Primo bivio, destra o sinistra? Destra, salgo per 3 km. Secondo bivio, destra o sinistra, sinistra, salgo ancora. Percorro la strada in mezzo a boschi e a squarci di cielo bellissimi, poi altro bivio, destra Pianaccio, sinistra Monteacuto, che faccio? L’istinto mi guida verso destra, direzione Pianaccio. Altri due Km e la strada finisce, sono nel cuore del Parco Nazionale Corno alle Scale, sull’Appennino, dove è ancora provincia di Bologna ma la provincia di Pistoia è vicina di casa.

Ore 06.30 – Dopo essere arrivato fino al Rifugio Segavecchia (di cui parlerò diffusamente in un articolo futuro) ritorno sulla strada verso Pianaccio.

Pianaccio

Foto Paolo Morabito – Fonte Rifugio Segavecchia – Giugno 2017

Mi sono perso o sono arrivato? Lascio la macchina davanti ad una casa, una qualsiasi.

Pianaccio

Ore 7.30 – Pianaccio è un mazzo di poche case, silenzio e vento, in lontananza una nonnina con il suo cagnolino al guinzaglio, non c’è anima viva. Da dietro le finestre sento di essere osservato, la nonnina non è sola, altre nonnine escono come timide marmotte e si chiederanno ”E questo chi è…?
Non so che fare, prendo il bastone e vado per sentieri o torno indietro, l’asfalto termina qui.

Ancora una volta l’imprevisto, amico del viaggiatore, mi soccorre. Il cagnolino mi vede e scappa dalle mani della nonnina per venirmi incontro, abbaiando e trascinando sull’asfalto il suo guinzaglio. Lo accarezzo, si placa, smette di abbaiare e la nonnina, ora vedo che avrà più di ottant’anni, mi dice: ”Grazie, ho le mani deboli e il cane mi scappa ogni tanto. Ma lei che ci fa qui?”

Maria

“Mi sono perso-dico a Maria-così si presenta. Come faccio a spiegarle che sono arrivato lì per caso?”
“Ma quella-continua lei-è la sua macchina, quella lì, bianca?”
“Sì- rispondo- non sarò in multa anche qui a Pianaccio?…” Rido ma lei non raccoglie, forse non ha mai avuto il problema di una multa, qui dove le macchine si fermano e si può proseguire solo a piedi.

Ci sediamo su una panchina e il cane si acquatta ai nostri piedi. “Vede, lei senza saperlo, ha parcheggiato davanti alla casa natale di Enzo Biagi – dice Maria, con lo sguardo che mi porta lontano alla sua infanzia. Da piccole, io e le mie amiche, passavano tante notti in quella casa a far compagnia alla Bice, la mamma di Enzo.

Donna forte ma che aveva paura di dormire da sola in quella casa. Ci mandava a chiamare, quando gli uomini di casa partivano e noi bambine, le tenevamo compagnia ricamando insieme a lei ore e ore fino ad addormentarci sfinite. Quante tovaglie, lenzuola e centri tavola ha questo paese! Tutto nato, lì, dalla Bice”. Una storia antica che mi apre il cuore e la mente.

“Scusa Maria ma il maestro Biagi è sepolto qui?” Sì, quello è il Centro Documentale e lì sotto, al termine di quella discesa, c’è il piccolo cimitero. Io non vengo, eh, è troppo in discesa ma ci vada, ci vada!”
Ci vado, ci sono tutti i Biagi ed Enzo è l’unico senza foto, ha voluto così. La piccola Spoon River di Pianaccio.

Pianaccio

Discesa al cimitero di Pianaccio – Foto Paolo Morabito 8 Luglio 2017

Beata ignoranza, io del Biagi privato non sapevo quasi nulla.
Mentre rientro a Marano penso al disegno, al caso o ad entrambi. Parto, vado a destra, poi vado a sinistra, poi vado a destra, arrivo a Pianaccio, poi un cane scappa e viene verso di me, conosco Maria, scopro di aver parcheggiato davanti alla casa di Enzo Biagi. E nel giro di poco salgo sulla macchina del tempo.

Se mantieni chiaro il fine della conoscenza che è nell’animo del viaggiatore ignorante, ogni nostro spostamento anche breve, sarà una scoperta incredibile. Per chiudere l’articolo mi piace citare il Dalai Lama: “Una volta l’anno, vai in un posto dove non sei mai stato prima”

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