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Prima o poi doveva accadere. Mi sono procurato uno stiramento al polpaccio sinistro durante una partita di padel. Niente di grave, per carità, 10 giorni di riposo per tornare a camminare e un percorso di recupero tutto sommato breve. E’ una novità assoluta per me; non mi ero mai fermato per un problema muscolare nell’arco della mia vita, sportiva e non solo.

Da martedì scorso sto affrontando una nuova situazione e, spontaneamente, ho sentito il bisogno di scrivere e di comunicare i miei pensieri, soprattutto in relazione all’aspetto psicologico e mentale che mi trovo a vivere in questi giorni. Una sorta di diario del mio infortunio sportivo che mi costringe ad un imprevisto stop.

La mia scrittura… esperienziale

In questi giorni ho avuto una conferma riguardo al mio lavoro. Scrivo per una sorta di terapia esistenziale ed esperienziale. Ho bisogno di raccontare per iscritto quello che mi succede, come se avessi di fronte un’altra persona.

E’ una necessità dettata dalla spinta a capire, da trasferire poi all’esterno. E ‘stato sempre così, nella mia esperienza prima di studio, poi professionale. Ritrovo questa mia caratteristica anche quando vivo una esperienza personale e sento il bisogno di condividerla con chi mi sta vicino, amici e familiari.

Penso, agisco, ottengo, poi analizzo e correggo. Di questo ne ho fatto un metodo, che attraverso l’errore, mi porta ad apprendere cose nuove da trasferire alle risorse umane che formo.

Il mio vivere le situazioni in prima persona mi porta ad essere una sorta di testimone di quello che vivo, per aiutare gli altri: credo sia stato, a detta di altri, uno dei punti di forza nella mia formazione. Questo, in modo erroneo, è interpretato per protagonismo, io non lo vivo così.

Il dolore nuovo dell’infortunio

Martedì, ero ad un mini torneo di padel. Giocavo con il mio abituale compagno, Alessandro, sorriso sulle labbra, spensieratezza e concentrazione. Prima, mi ero riscaldato, come sempre. Stretching e allunghi, esercizi, anche qualche scatto. Un riscaldamento non lunghissimo ma intenso, la partita era iniziata in equilibrio.

Ad un certo punto, un dolore nuovo, mai sentito prima, come un morso dato da un animale al mio polpaccio. Ho capito subito che la partita era finita. La prima reazione è stata di stupore. Non me lo aspettavo, sono sincero, quindi la delusione di interrompere è stata molto grande.

Cosa fare? Che cosa mi è successo? Mi sono infilato la felpa con il cappuccio e mi sono diretto negli spogliatoi, senza poter appoggiare il piede dal dolore intenso.

spogliatoio

Spogliatoio CUSB Bologna – Foto Paolo Morabito

Le mille reazioni dopo l’infortunio

Nello spogliatoio, a caldo dopo la doccia, ho iniziato a prendere coscienza che mi dovevo fermare per chissà quanto. Non riuscivo a camminare. Quindi, nella mia mente credo di aver vissuto in pochi minuti tutte le emozioni di chi capisce di subire uno stop. Anzi, ne ho messe anche di più, per non farmi mancare nulla.

Intanto, dapprima ho pensato di aver portato il mio fisico al limite, usurandolo. Certo, l’infortunio è in agguato per chiunque, sia per chi pratica sport che per chi ha una vita sedentaria. Però, non lo aspetti, quindi quando arriva inatteso, ti colpisce proprio questo. La sorpresa è ancora più grande, se non ne hai mai avuti prima, come nel mio caso.

In pochi minuti sono passato da smarrimento a rabbia, tristezza, senso di colpa verso i miei compagni, rimasti in tre e alla ricerca disperata veloce di un sostituto per continuare la partita.

Come l’elaborazione di un piccolo lutto

Dopo le prime reazioni, non sapendo di quale infortunio si trattava è subentrata un po’ di paura e, di fatto, la non accettazione dell’accaduto, quasi la negazione dell’avvenimento.

Ho iniziato a dire che non era niente e a programmare già il mio rientro nelle ore successive ma lui, cioè il dolore, era lì a ricordarmi il contrario.

Subito dopo con una reazione contrastante, ho cercato del ghiaccio, non trovandolo. A fatica ho guadagnato la strada di casa, salendo in macchina; la tangenziale di Bologna mi sembrava infinita, non riuscivo a guidare bene per il dolore al polpaccio sinistro.

A casa ho preparato la borsa del ghiaccio (“ma farò bene?”). Ho sentito dire che per certi infortuni il freddo non è ideale e ci vuole il caldo, boh? Sarà strappo, contrattura, stiramento? Il fatto che sia il primo infortunio e non una recidiva, mi lasciava il dubbio sui primi interventi da fare.

Ultima reazione della sera: prima di andare a letto, ho mandato un messaggio scomposto al numero della fisioterapista. Disperato, maleducato, tentativo delle 22.

La visita e la diagnosi

Elisa, la fisioterapista, mi risponde gentile la mattina dopo. Mi dice che posso andare subito. Sono felice. Non voglio perdere tempo, ho già la testa al mio recupero sportivo. Devo massimizzare i tempi. Avviso anche il mio nutrizionista Raffaele Maiullari e il mio coach Matteo Mazzoni. Mi sento seguito e sono contento.

Dopo l’ecografia ecco l’esito: stiramento. Un sospiro di sollievo e mi faccio riaccompagnare a casa. Temevo uno strappo, più grave e più lungo nei tempi di recupero.

In un attimo sono scomparsi i pensieri della sera prima, dettati dal “non sapere”: la catastrofizzazione (“non riuscirò più a giocare”), la generalizzazione (“non potrò mai più saltare come prima”), la colpevolizzazione (“e domani come vado al lavoro? Sono un cretino”), l’accusa (“Perché proprio a me?”), la negazione (“non mi sono fatto nulla, in fondo”).

Non fate da soli, affidatevi sempre a specialisti: hanno un compito importante che non è solo quello di curare ma anche quello di portare a tutti noi un dono prezioso: la consapevolezza, che ci aiuta a ripartire nella giusta direzione.

La fase del recupero

Da tre giorni non cammino ma sto seguendo scrupolosamente le indicazioni dei miei tre consiglieri: la fisioterapista, il nutrizionista (mi ha corretto in tempo reale l’alimentazione, adeguandola al nuovo status di infortunato), il mio coach che mi stimola in questa fase di non allenamento, soprattutto da un punto motivazionale.

Mi rendo conto che questo periodo può essere delicato. Ho capito una cosa: anche se il mio infortunio non è grave, devo attenermi alle procedure in modo preciso e seguire i consigli in modo scrupoloso. Anche da un punto di vista psicologico potrei sentire la preoccupazione di non guarire bene o di infortunarmi di nuovo.

A volte potrei non valutare con oggettività i risultati del mio recupero e devo stare attento a non avere fretta o bruciare le tappe. Diciamo che con il passare delle ore sto iniziando ad apprezzare i piccoli miglioramenti e a vedere il bicchiere mezzo pieno.

L’infortunio come momento di rinascita mentale

La tensione confusa dei primi momenti ha lasciato spazio ad una calma nuova. Stop a chat di padel, prenotazioni, corse verso la palestra e usura psico-fisica, sento che lo stress dei giorni scorsi è svanito.

Non mi ero accorto che da due anni non mi fermavo. Il mio fisico mi ha fatto una sorta di regalo, mi ha avvertito che era giunto il momento di fermarmi, penso sia così. Oggi sto iniziando a regalarmi emozioni positive.

L’infortunio si sta rivelando utile e sta rappresentando, per certi versi, un sollievo. Ero sotto pressione per le prestazioni: palestra, corsa, padel, camminate e, maledizione, non me ne ero accorto.

Ho ricominciato a programmare un nuovo calendario di allenamenti, più lezioni, meno partite inutili. Anche lo spazio per le mie attività personali è tornato di attualità: in queste ore sto riascoltando vecchi dischi, ho finito un libro che avevo sul comodino da tempo, ho ripreso a sognare di notte in modo più nitido. Grazie ad un infortunio, ho portato a casa una lezione magistrale per il mio futuro:

anche un episodio contrario come questo, può essere utile a cambiare, ad uscire da una condizione di comfort o addirittura di stress. La pausa serve a pianificare un nuovo io, a cambiare pelle e a rinascere con uno stile di vita migliore del precedente. Ci sono riuscito dopo due TIA, attacchi ischemici transitori e un ictus (Leggi qui), lo farò anche questa volta in scioltezza: credo di essere allenato a superare questo piccolo ostacolo.

Ci ha pensato il mio coach Matteo Mazzoni a darmi la sintesi perfetta, citando “The Batman Begins” per tirarmi su il morale. Ad un certo punto, Thomas Wayne chiede a suo figlio che cade in un pozzo asciutto:

Matteo Mazzoni

Io e Coach Matteo Mazzoni – Palestra BSC Castel Maggiore- Foto Lorenzo Orlandini

“Perché cadiamo Bruce? Per imparare a rialzarci”.

(Why do we fall sir? So that we can learn to pick ourselves up – The Batman Begins)

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Raffaele Maiullari Nutrizionista. Profilo Instagram. Clicca qui.

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